La rivelazione e la sua credibilità

Pe. François Bandet, EPlivro-horas-duc-de-berry

Per dare credibilità alla rivelazione nel mondo contemporaneo, il Concilio Vaticano II ha voluto sottolineare, in primo luogo, l’aspetto pastorale e personale del kerygma evangelico. Lasciando, dunque, in secondo piano i toni della condanna e della discussione, con un linguaggio positivo e ottimistico, il CVII ha inteso dare una risposta alle esigenze del tempo e cerca di formare le coscienze affinché gli uomini possano accettare la parola di Dio, fonte della pace.

Nella Chiesa, abbiamo vissuto, ultimamente, una vera “caduta dei bastioni”[1] che impedivano alla Chiesa stessa di dialogare con il mondo. Il mondo, dunque, non è più il nemico che cerca di distruggere o corrompere la Chiesa, ma il figlio disorientato che ha bisogno di essere salvato.

Per aiutare il figlio disorientato a credere nella rivelazione divina, il CVII ha elaborato e scritto la Costituzione dogmatica Dei Verbum, utilizzando un argomento non in una forma categorica e metodica, come nella Dei Filius, ma piuttosto nella forma del ragionamento pastorale di chiarificazione e di insegnamento. La Dei Filius è considerata cristologica, perché sottolinea l’escatologia biblica e il mistero pasquale fra Dio e l’uomo in modo da rendere la rivelazione personale nell’abbandono pieno alla testimonianza del Padre.

Nel desiderio di personificare la rivelazione, molti teologi hanno cercato dei nuovi modi per spiegare e far comprendere la credibilità divina agli uomini di oggi.

Johann Baptist Metz (1928-……), per esempio, ha evidenziato il pericolo di un cristianesimo di tipo troppo privato e borghese, affermando che il vangelo è soprattutto per la salvezza degli uomini nella loro dimensione collettiva e sociale. Secondo Metz, inoltre, c’è anche un grande pericolo nell’aspetto cristologico personale della teologia, perché il credente rischia di cadere in un esclusivismo individualistico. La credibilità della fede nasce, fra l’altro, quando un credente risponde alla sofferenza del mondo con una solidarietà di carità verso gli uomini, in una prospettiva di salvezza universale. Il messaggio cristiano, che è escatologico, non può mai dimenticare Dio nei segni dei tempi che chiedono sempre all’uomo di uscire dalla propria condizione per aiutare gli altri, in un dialogo fraterno che riflette l’esempio di Cristo, che ha dovuto lasciare la propria condizione per la salvezza dell’uomo.[2]

 


[1] R. Fisichella, La Rivelazione: Evento e Credibilità, Bologna 1985, 165.

[2] G. Pattaro, «Credibilità e rivelazione cristiana», in L. Pacomio, ed., Dizionario teologico interdisciplinare, Vol I, Marietti, Torino 1977, 620-621.

L’accesso alla “Memoria Iesu”

capaPe. Eduardo Caballero, EP[1]

 

Il concilio Vaticano II era preoccupato per il tema della storicità dei Vangeli. C’era una discussione su questo argomento prima del concilio. Paolo VI chiese alla Pontificia Commissione Biblica di fare un documento in merito, che poi servì come base per la redazione del paragrafo 19 della Dei Verbum. Questo testo sottolinea il carattere storico dei Vangeli. Ma solo una volta appare la parola storicità nel documento, dovuto alla polemica esistente all’epoca. Cosa vuol dire esattamente il termine storicità? In un senso colloquiale, storicità è un concetto identico a verità. Ma c’è una differenza fra evento e storia. Cosa vuol dire che un fatto è storico? Il reale è più ampio della storia. Ci sono tante cose reali che la storia non registra: ad esempio i pensieri. Storico vuol dire costatabile positivisticamente?

DV 19 spiega il concetto di storicità in base a tre punti:

• «I quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo».[2]

• «Gli apostoli poi, dopo l’Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza delle cose – ecco la novità! – di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità, godevano».[3] Cioè, la plenior intelligentia arriva dopo, con la Pasqua.

• «Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o già per iscritto, redigendo un riassunto di altre, o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere […] Essi infatti […] scrissero con l’intenzione di farci conoscere la “verità” (cfr. Lc 1,2-4) degli insegnamenti che abbiamo ricevuto».[4] Gli evangelisti hanno fatto un’adattamento con scopo kêrygmatico, non un libro di testo ma un libro da essere proclamato.

È, quindi, importantissimo il testo di DV 19 perché esso spiega la valenza storica del Vangelo. Ma spiega anche in quale modo deve essere interpretata quella storicità. Più che leggere il Vangelo – si deve leggere pure – bisogna ascoltarlo, perché non è semplicemente un libro storico. Nei Vangeli non si trova un resoconto sulla vita di Gesù, ma quello che è la verità per la nostra salvezza.

Si arriverà così non tanto alla ipssima vox Iesu e ai vera facta Iesu ma ad individuare la ipsissima intentio Iesu! È anche molto importante in questo senso il testo di DV 11:

«Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa. Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte. Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture. Pertanto “ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona” (2Tm 3, 16-17)».[5]

Il concilio Vaticano I parlava di ispirazione in senso negativo: l’ispirazione vuol dire che non ci sono errori. Il concilio Vaticano II invece è il primo concilio che parla di ispirazione in senso positivo: non si tratta soltanto di una parola su Dio ma della parola di Dio. La tradizione cattolica non è, dunque, fondamentalista, non è letteralista nell’interpretazione della Scrittura. Il rischio di relativismo che questo comporta viene controbilanciato dalla custodia che la Chiesa fa della interpretazione autentica della Scrittura.

 

CABALLERO, Eduardo. La credibilità della rivelazione cristiana: Elaborato sulla Tesi nº 6 – L’accesso alla “Memoria Iesu” (Rev. D. Salvador Pié-Ninot). Roma: Pontificia Università Gregoriana, 2008.

 

[1] Per la confezione di questo elaborato è stato usato come testo di base il libro: S. PIÉ-NINOT, La teologia fondamentale, Brescia 2007.

[2] Dei Verbum 19.

[3] Ibid.

[4] Ibid.

[5] Ibid. 11


A Palavra de Deus e o exemplo de Maria

livro            A Palavra de Deus não é

uma palavra escrita e muda,

mas o Verbo Encarnado e vivo

S. Bernardo de Claraval

           

            A Palavra de Deus mobiliza a inteligência, a imaginação, o desejo, para aprofundar a nossa fé, suscita a conversão do nosso coração e fortalece a nossa vontade de seguir a Cristo. É uma etapa preliminar em direcção à união de amor com o Senhor.[1] Porém, para viver de acordo com a Palavra, necessita-se a “prévia e concomitante ajuda da graça divina e os interiores auxílios do Espírito Santo, que move e converte a Deus o coração, abre os olhos do entendimento, e dá a todos a suavidade em aceitar e crer a verdade”.[2]

 

            Será desta experiência que nascerá o espírito missionário, o anúncio da Palavra ao mundo de hoje que, mais do que nunca, exige um testemunho coerente de vida. Os que estão empenhados neste anúncio devem ser verdadeiramente capazes de fazê-lo porque vive e transborda nas suas almas o desejo de missão. A Palavra impele-os a e a vivência torna-os capazes para isso. Lembrava a Dei Verbum ser necessária “na conservação, actuação e profissão da fé transmitida, uma especial concordância dos pastores e dos fiéis”.[3]

 

            Exemplo para nós é Maria, Mestra e Mãe na escuta da Palavra de Deus. “Ela guardava todas as coisas no seu coração” (Lc 2, 51). Ora, este é o tratamento que devemos dar à Palavra de Deus a fim de acolher na escuta, na oração, na obediência e no serviço. E Nossa Senhora é por excelência a criatura que tornou viva a Palavra, não só porque A levou no seu seio, mas também  no seu coração e nos seus actos. Modelo de humildade e de serviço que tem no Magnificat a sua mais bela expressão.

[1] Cf. CIC n. 570

[2] Cf. Dei Verbum n.11

[3] Idem, n.10

 

 


VICTORINO DE ANDRADE, José. A Palavra de Deus na Vida e na Missão da Igreja: Relatório da Associação Arautos do Evangelho para a Conferência Episcopal Portuguesa. Adapt. Ficha Movimentos Eclesiais. 16 out. 2007. p. 4-7.