Parallelismo tra fede teologale e «fede scientifica»

Pe. Eduardo Caballero, EPimag

 

La distinzione classica tra fides quae creditur (l’aspetto materiale della fede teologale: comprendere i singoli articoli di fede, il contenuto di ciò che crediamo) e fides qua creditur (l’aspetto formale della fede: l’atto stesso del credere) si può ritrovare nella fede scientifica. Il suo aspetto materiale sarebbero i contenuti specifici che lo scienziato accetta come veri pur non avendo una esperienza diretta della sua veracità. Ad esempio, solitamente nessun scienziato mette in dubbio la veracità della seconda legge della termodinamica. E questo anche se lui stesso non ne ha avuto l’evidenza empirica: semplicemente si accetta la legge come valida. Tale accettazione sarebbe proprio l’aspetto formale di questa fede scientifica. In modo analogo, possiamo evidenziare in essa un aspetto «noetico», richiamato da Einstein, come abbiamo visto, che sarebbe l’accettazione intuitiva da parte del singolo scienziato dei presupposti della scienza universalmente riconosciuti dalla «comunità scientifica» (corrispondente al concetto di fides nel caso della fede teologale: è necessario anzitutto accettare la verità della Parola e della promessa di Dio, cioè credere che egli è vero in quanto dice), così come pure un aspetto «etico», che implica un certo modo di comportarsi dello scienziato nella sua ricerca scientifica in accordo con delle regole stabilite da altri o dal metodo scientifico stesso (corrispondente al concetto di mores nell’ambito della fede teologale: aderire alla Parola di Dio, alla sua fedeltà essendo fedele il credente come lo è Dio stesso).

Se diamo uno sguardo veloce, e per forza molto superficiale, ai cenni biblici sull’idea di fede, la «ubbidienza» e la «fiducia», che richiamano fortemente la fede teologale, sono elementi altrimenti presenti nel discorso che uno scienziato fa quando si sottomette docilmente ai principi che regolano il lavoro scientifico e si fida dei risultati altrui per arrivare a conclusioni più elaborate. Negli Atti degli Apostoli resta chiaro che la fede teologale è qualcosa che si riceve non soltanto per grazia divina, ma anche dalla Chiesa, per mezzo della Chiesa. Nel caso della fede scientifica, non è facile individuare un correlato divino che concede la fede come dono, ma sì un correlato comunitario alla Chiesa, e cioè, la comunità scientifica, che garante la veracità dei contenuti “creduti”. In questo senso, ci sembra significativa la conclusione di F. Ardusso:

 

Nelle scienze, la dimensione antropologica della fiducia e dell’affidamento si riconosce sia perché l’accesso a buona parte delle conoscenze poggia su tradizioni intellettuali precedenti, recuperando, pur senza rinunciare al vaglio critico dell’esperienza, i risultati già raggiunti ed accolti in un clima di fiducia costruttiva (cfr. Fides et ratio, 31-32), sia perché l’attività delle scienze riposa su presupposti prescientifici che coinvolgono il modo con cui il soggetto si pone dibfronte a quel reale che cerca di studiare, sulla cui intelligibilità e ragionevolezza «gli scienziati si appoggiano fiduciosi» (ibidem, 34). Dal canto suo, la fede reli giosa non si esaurisce in un’adesione estrinseca e acritica a contenuti conoscitivi che sorpassano la ragione, ma rappresenta un’opzione di tutta la persona, e dunque implica anch’essa un modo di porsi di fronte ad un reale la cui verità e senso ultimi si accetta di conoscere non come frutto della propria investigazione, ma come ascolto di una Parola che rivela ed interpreta, e dalla quale ci si lascia interpretare.[1]

 

Nelle lettere di Paolo appare la novità di un «assenso intellettuale» alla fede. Lui non ha creduto in modo cieco; sa a Chi ha dato la sua fiducia, la sua fede; non è un affare puramente emotivo, affettivo, senza un coinvolgimento intellettuale. Nella lettera agli Efesini, e soprattuto in Giovanni, si parla di una fede che sorpassa ogni conoscenza; essa è un tipo di conoscenza in se stessa, un modo di percepire la realtà. E tutto questo costituisce un altro e importante punto di contatto con la fede scientifica.

Sempre in rapporto con l’ambito biblico, la discussione scientifica sulla razionalità del cosmo ci sembra di richiamare la contenda tra fede e incredulità che si può rilevare ad esempio nel Libro dell’Esodo, a proposito della storia di Mosè e del popolo eletto dopo l’uscita dall’Egitto. È una successione di fede e sfiducia, di assensi e dissensi mentre una certa corrente cammina verso la desiderata “terra promessa” in cui – dicono i scientisti – sarà possibile dare una spiegazione coerente e globale di tutti gli aspetti della realtà con base nella “sola scienza”. Isaia è conosciuto come il «profeta della fede», che richiama spesso il rapporto fra fede e sicurezza: l’unica potenza che conta veramente è quella di Dio. Ebbene, il positivismo ha anche suscitato negli ultimi secoli diversi suoi “profeti” che hanno auspicato un futuro migliore sulle basi dello scientismo, come se dicessero: se non crederete nella scienza, non avrete stabilità.[2]

 

CABALLERO, Eduardo. Fede teologale e «fede scientifica»: Cenni su alcune correlazioni epistemologiche. Pontificia Università Gregoriana. Roma, 2009. p. 8-10.


[1] F. ARDUSSO, «Fede», DISF, I, 623-624.

[2] «Se non crederete, non avrete stabilità» (Is 7,9).