LA MISIÓN DE SANTIFICAR DE LA IGLESIA CATÓLICA

“La Palabra se hizo carne y habitó entre nosotros.”[1]menino-jesus

 

            El Hijo de Dios, la segunda persona de la Santísima Trinidad se encarnó en el seno virginal de María, se dignó asumir la naturaleza humana padeciente, menos el pecado, para que el hombre y la mujer, heridos por la culpa original, fueran elevados a Su divinidad y reconciliados con el Padre. Para ello se ofreció en sacrificio propiciatorio y perfecto, y como único mediador y sacerdote padeció y murió en la Cruz,  y resucitó triunfando definitivamente sobre la muerte y el pecado.

            Pero no se agotó así el amor de Dios, ni podía agotarse, dado su carácter infinito. El Divino Redentor vino al mundo para salvarnos, pues quiere que todos los hombres se salven y lleguen al conocimiento de la verdad, como nos enseña San Pablo[2], y antes de subir al Cielo fundó la Iglesia Católica, como sociedad visible, sobre la base de Pedro y del Colegio Apostólico, y en sus sucesores la hizo inmortal, para perpetuarse  a través de los tiempos y hasta el fin del mundo.

Jesús confió a la Iglesia una triple misión, triplicis muneris ipsi  Ecclesia demandati,  de gobernar, santificar y enseñar, que corresponden al triplicis muneris del propio Cristo, en cuanto rey, sacerdote y profeta. Y la dotó de los medios necesarios para la salvación y alcanzar el Reino. Y es así que puede afirmar el Código de Derecho Canónico “salute animarum quae in Ecclesia suprema lex esse debet”.[3]

Decía el Cardenal Herranz (2002):

 

Infatti, l’ecclesiologia del Vaticano II presenta la missione salvifica di Cristo legata alla sua triplice condizione di maestro, sacerdote e re, e fa apparire la struttura della Chiesa — l’ordinamento canonico — come una partecipazione sacramentale a questo triplice munus. Perciò, la «parola» di salvezza che la Chiesa custodisce e proclama, il «culto» che essa rende pubblicamente a Dio e la «exousía» o «potestà sacra» con cui la Chiesa è governata, sono tre funzioni che non si possono distinguere adeguatamente tra di loro, perché formano un’organica unità, radicata nell’unità della persona e della missione di Cristo.[4]

 

            El Concilio, a su vez, ha enriquecido la eclesiología, definiendo la Iglesia también como “comunión”, sacramento y Pueblo de Dios. La iglesia en cuanto comunión la podemos considerar como la reunión de todos los fieles cristianos que se incorporan a Cristo mediante el bautismo y se integran en el pueblo de Dios (Can. 204), encontrándose en plena comunión, en esta tierra, los bautizados que se unen por los vínculos de la profesión de fe, de los sacramento y del régimen eclesiástico (Can. 205). En esta concepción la esencial misión de santificar de la Iglesia queda realzada de una manera muy especial.

 

Pe. Jorge Maria Storni

STORNI, Jorge. La misión de santificar de la Iglesia Católica y el sacramento de la reconciliación.  Mestrado em Direito Canônico — Pontifício Instituto de Direito Canônico do Rio de Janeiro, 2009.

 


[1] Jo. 1, 14

[2] Cf. 1Tim 2, 4; Tt 1, 1-3

[3] Can. 1752

[4] Herranz. Il Dirito Canonico, Perché? Lezione all’Università Cattolica di Milano. 29 aprile 2002

E voi, chi dite che io sia?

jesusDato che Gesù ha chiamato i sui discepoli e li ha iniziati a seguirlo nella sua vita in una forma totalmente personale non possiamo partire da una storia di Gesù nella quale non si includa la storia della salvezza dell’umanità. Questo perché nei Vangeli la relazione fra la figura dell’oggetto con la risposta del soggetto è così intimamente legata l’una all’altra che non si può separare.

Vediamo adesso i grandi titoli cristologici che danno una certa risposta alla domanda: «E voi, chi dite che io sia?».

 

a) Messia-Cristo

 

Il titolo di Messia aveva nell’Antico Testamento una grande connotazione politica perché significava l’unto (l’eletto da Dio) della casa di Davide che doveva governare il popolo di Dio come Re. Questo modo politico di vedere Gesù con questa definizione per così dire terrestre di Messia era utilizzata dai discepoli – Gesù non ha mai utilizzato il titolo di «Messia»[1] – tra i quali Pietro, in modo da pensare che Gesù sarebbe diventato un Re per salvare Israele dai Romani oppressori e così ritornare al grande regno davidico di una volta. Questa visione politica di Gesù sarebbe la ragione per la quale Egli «impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno» dopo la confessione di Pietro che affermava: «tu sei il Messia» (Mc 8,29). È interessante notare comunque che con questa confessione forse Pietro incominciava a vedere Gesù con gli occhi della fede ma non ancora tutti gli altri discepoli e allora è per questo che Gesù doveva rispondere così a loro di non dire nulla a nessuno.

Gli studiosi come quelli della Third Quest rinnovano la fiducia nel titolo di Messia per la persona di Gesù, quando sottolineano il titolo scritto sulla croce: «Gesù di Nazareth, re dei Giudei».[2] Sarebbe una comprensione globale di Gesù come «Messia crocifisso» per dare una plausibilità storica alle Sue parole e alla Sua vita. Ormai sulla croce non c’è più ambiguità, il Crocifisso che regna soltanto «dal legno»[3] è il vero trono del «Messia-re».

Il termine «Messia» proviene dell’ebraico mashiah e significa «unto». Nella lingua greca si traduce con Christòs, da cui proviene la parola Cristo. Colui che è unto ha un particolare compito da svolgere. Davide era un messia, cioè un unto, il quale doveva mantenere l’unità del popolo e guidarlo verso Dio, con la caduta del regno e tutte le vicende politiche già espresse, il termine designò la speranza di un liberatore, di un discendente di Davide che potesse ridare al popolo una nuova era. Quando comparve sulla scena Gesù di Nazareth, alla figura del Messia era attribuito con una certa ambiguità; sia un significato politico sia spirituale in modo che prima della Pasqua Gesù era visto come capo politico piuttosto che come capo religioso.

 

b) Figlio dell’uomo

 

È senza dubbio il titolo più discusso e che è stato predominante negli studi della New Quest.[4] È un titolo che non si presenta come un titolo confessionale e designa l’uomo o un uomo che appartiene alla specie umana. L’espressione «Figlio dell’uomo» in ebraico o aramaico del tempo di Gesù voleva dire «uomo»[5]. Ernst Käsemann,[6] lavorando nel 1954 con la New Quest su ciò che sarebbe storicamente accertabile sulla persona di Gesù, dice che non è plausibile dare una definizione a un titolo che non è plausibile in un contesto Giudaico o Cristiano del primo secolo. Soltanto più tardi, con la ricerca della Third Quest sulla storicità di Gesù iniziata negli anni ‘80 si è iniziato a mettere in questione la validità dei criteri della New Quest, tanto che oggi, alcuni membri della Third Quest hanno aderito alla proposta di G. Theissen[7] dando a Gesù il titolo di «Figlio dell’uomo» in un senso «messianico» di salvatore e redentore.

La maggioranza delle volte questa espressione è utilizzata da Gesù (82 volte),[8] ma viene usato anche da altri e nel Antico Testamento come nel libro di Daniele (Dn 7,11-14) dove viene usato per suscitare la speranza che Dio avrebbe salvato il suo popolo. Nel periodo in cui Daniele scriveva, molte erano le persecuzioni e perciò egli annunciava: «il Figlio dell’uomo» verrà «alla fine dei tempi» come giudice per riscattare e liberare il popolo. Essere giudice significa avere potere, e Gesù lo manifesta con le sue azioni: compie i miracoli e perdona i peccati. Gesù parla di sé come Figlio dell’uomo in un senso virtuale o germinale perché con tale espressione evita che la sua missione sia confusa con quella di un liberatore politico.

 

c) Figlio

 

Normalmente, si afferma che la possibilità che Gesù si riferisca a se stesso come «il Figlio» o «il Figlio di Dio», nel senso di messia o redentore, normalmente sia da escludere.[9] Tuttavia, la scoperta di un testo aramaico di Qumran che utilizza l’immagine misterioso di «Figlio di Dio» in un contesto escatologico, ha riaperto la questione.

È possibile che Gesù parlasse di se stesso come del «Figlio» in una relazione speciale con Dio, il Padre-Abbá[10].

Le azioni e le parole di Gesù segnarono il corso di una nuova storia. Gesù si poneva con continuità con quanto era già stato annunciato nell’Antico Testamento, ma in lui si realizzava l’Alleanza nuova, quella definitiva, annunciata dai profeti. Egli dichiarava apertamente di essere il Messia, colui che realizza le promesse dell’Antico Testamento e che mostra agli uomini il volto di Dio.[11] La presentazione di Gesù nella storia viene chiamata «incarnazione». Il nascere di Gesù dalla vergine Maria, il suo divenire uomo, manifesta l’amore di Dio che salva. Gesù non è diventato Dio durante la sua vita o nel momento della sua risurrezione; egli era già Dio prima di essere concepito. Prima della sua incarnazione, potremmo dire che non si chiamava Gesù. Con Gesù il nome «figlio di Dio» entra nella storia. Gesù di Nazareth, nella sua vita terrena, ha mostrato di essere il figlio di Dio.

 

d) Signore

 

Nei vangeli e negli Atti c’è un’evoluzione nell’uso della parola «signore» con riferimento a Gesù. Al inizio della vita di Gesù si utilizza questa parola come un trattamento di cortesia per usarlo, dopo la Pasqua, come un titolo di maestà. All’inizio possiamo dire che il titolo «signore» è utilizzato dai discepoli per parlare del «signore» come un rabbi e dopo la pasqua per rendere culto al «Signore» visto come il risorto.[12]

L’insegnamento e le azioni di Gesù suscitano meraviglia, ma anche molti interrogativi misti a incredulità. Ai suoi cittadini Gesù non dava segni: i miracoli non possono accadere se non vi è la disponibilità ad aprirsi a Dio.

 

 

Pe. François Bandet

 BANDET, François. Il mysterium Christi: Elaborato sulla tesi No 8. (La credibilità della rivelazione cristiana – Prof. Rev. Dr. Salvador Pié-Ninot). Gregoriana. 25 mag. 2008


 

[1] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 369.

[2] S. Pié-Ninot, La Teologia Fondamentale, 379.

[3] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 387.

[4] S. Pié-Ninot, La Teologia Fondamentale, 328.

[5] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 373.

[6] S. Pié-Ninot, La Teologia Fondamentale, 328.

[7] Ibid., 335, 378, 382.

[8] R. Fisichella, Titoli cristologici, in DTF, Cittadella, Assisi 1990, 250.

[9] S. Pié-Ninot, La Teologia Fondamentale, 383.

[10] Ibid., 385.

[11] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 387.

[12] S. Pié-Ninot, La Teologia Fondamentale, 384.

A Palavra de Deus e o exemplo de Maria

livro            A Palavra de Deus não é

uma palavra escrita e muda,

mas o Verbo Encarnado e vivo

S. Bernardo de Claraval

           

            A Palavra de Deus mobiliza a inteligência, a imaginação, o desejo, para aprofundar a nossa fé, suscita a conversão do nosso coração e fortalece a nossa vontade de seguir a Cristo. É uma etapa preliminar em direcção à união de amor com o Senhor.[1] Porém, para viver de acordo com a Palavra, necessita-se a “prévia e concomitante ajuda da graça divina e os interiores auxílios do Espírito Santo, que move e converte a Deus o coração, abre os olhos do entendimento, e dá a todos a suavidade em aceitar e crer a verdade”.[2]

 

            Será desta experiência que nascerá o espírito missionário, o anúncio da Palavra ao mundo de hoje que, mais do que nunca, exige um testemunho coerente de vida. Os que estão empenhados neste anúncio devem ser verdadeiramente capazes de fazê-lo porque vive e transborda nas suas almas o desejo de missão. A Palavra impele-os a e a vivência torna-os capazes para isso. Lembrava a Dei Verbum ser necessária “na conservação, actuação e profissão da fé transmitida, uma especial concordância dos pastores e dos fiéis”.[3]

 

            Exemplo para nós é Maria, Mestra e Mãe na escuta da Palavra de Deus. “Ela guardava todas as coisas no seu coração” (Lc 2, 51). Ora, este é o tratamento que devemos dar à Palavra de Deus a fim de acolher na escuta, na oração, na obediência e no serviço. E Nossa Senhora é por excelência a criatura que tornou viva a Palavra, não só porque A levou no seu seio, mas também  no seu coração e nos seus actos. Modelo de humildade e de serviço que tem no Magnificat a sua mais bela expressão.

[1] Cf. CIC n. 570

[2] Cf. Dei Verbum n.11

[3] Idem, n.10

 

 


VICTORINO DE ANDRADE, José. A Palavra de Deus na Vida e na Missão da Igreja: Relatório da Associação Arautos do Evangelho para a Conferência Episcopal Portuguesa. Adapt. Ficha Movimentos Eclesiais. 16 out. 2007. p. 4-7.

Vivir como si Dios no existiera

El Papa Benedicto XVI ha denunciado en muchas oportunidades el relativismo contemporáneo. Ahora, en la audiencia del pasado 7 de octubre, al analizar la figura de San Juan Leonardi, mostró la solución para ese mal:
“Solamente de la fidelidad a Cristo puede brotar la renovación eclesial auténtica. En aquellos años, en el pasaje cultural y social entre los siglos XVI y XVII, se empezaron a dibujar las premisas de la futura cultura contemporánea caracterizada por una escisión indebida entre la fe y la razón que ha producido, entre sus efectos negativos, la marginación de Dios, con la ilusión de una posible y total autonomía del ser humano, que elige vivir “como si no Dios no existiera”.
“Es la crisis del pensamiento moderno que tantas veces he evidenciado y que llega a menudo a formas de relativismo. Juan Leonardi intuyó cual era la verdadera medicina para los males espirituales y la sintetizó en la frase: “Cristo ante todo”. (…) No hay ambiente que no pueda ser tocado por su fuerza. (…) Esa era su receta para todo tipo de reforma espiritual y social”.

Evangelização da Juventude e Integração Familiar

A formação dos jovens nos nossos dias

familias“Se Cristo lhes for apresentado com o seu verdadeiro rosto, os jovens reconhecem-No como resposta convincente e conseguem acolher a sua mensagem, mesmo se exigente e marcada pela Cruz” (Novo Millennio Ineunte, 9).

Este anúncio deve ter como base formativa, não só a segurança doutrinária do Catecismo da Igreja Católica, mas, sobretudo, a reconciliação no Sacramento e o alimento do Pão e da Palavra, a fim de poderem ser eles o sal da terra e luz do mundo e caminharem com segurança ao encontro de Jesus, Caminho, Verdade e Vida.

            A Eucaristia deve ser, pois, o ponto central e culminante que os introduzi no mistério Pascal e faz perseverar, pelo omnia possum in Eo qui me confortat (Fil. 4, 13).

Trata-se, assim, de permitir que os jovens recebam uma formação sólida e integral, fundada nos princípios da ética cristã e, portanto, da dignidade fundamental do ser humano, criado à imagem e semelhança de Deus. Eles poderão então encontrar um caminho de desenvolvimento pessoal, moral e espiritual, e serão cada vez mais capazes de assumir no presente e no futuro a sua missão na sociedade, tendo a preocupação permanente de promover o respeito pela dignidade humana através das suas diferentes expressões, quer seja nos campos da política, da economia ou mesmo da bioética.

            Porém, neste labor evangelizador não poderá estar olvidada a Integração Familiar porque “…a sociedade não pode perder a referência àquela «gramática» que cada criança aprende dos gestos e olhares da mãe e do pai, antes mesmo das suas palavras.” (Bento XVI – Dia Mundial da Paz 2008 e Discurso à embaixadora Ucrânia adapt.)

A Família, uma Igreja Doméstica

“A unidade familiar, dom de Deus-Amor, pode fazer da família um verdadeiro ninho de amor, um lar acolhedor da vida e uma escola de virtudes e de valores cristãos para os filhos.” (Bento XVI Encontro Focolares 3/11/2007) O Concílio Vaticano II voltou-se com particular solicitude para os problemas do apostolado nos nossos dias e, considerou acuradamente o papel da família no mundo contemporâneo: “Deve-se reservar a essa comunidade uma solicitude privilegiada […] Como a experiência ensina, a civilização e a solidez dos povos dependem, sobretudo, da qualidade humana das próprias famílias. Assim, a acção apostólica em favor da família adquire um valor social incomparável. A Igreja, por sua parte, está profundamente convencida disso, bem sabendo que ‘o futuro da humanidade passa através da família’” (Christifideles laici, 35, 36).

Desta forma, deverá ser posta a serviço da comunidade eclesial, um empenho redobrado, pois, conforme disse João Paulo II no encontro com os movimentos eclesiais e novas comunidades: “No nosso mundo com frequência dominado por uma cultura secularizada, que fomenta e difunde modelos de vida sem Deus, a fé de muitos é posta à dura prova e, não raramente, é sufocada e extinta. Percebe-se, então, com urgência a necessidade de um anúncio forte e de uma sólida e aprofundada formação cristã”. (27/05/1998)

            A veneração a Pedro na pessoa do Santo Padre e aos Pastores a ele unidos e um forte desejo de ir ao encontro das necessidades da Igreja, expressas nos documentos do magistério, tendo sempre a Maria por Estrela da Nova Evangelização, ensina-nos a formar o jovem e a família com base na doce e exigente lei do Amor.

 

 

VICTORINO DE ANDRADE, José. Evangelização da Juventude e Integração Familiar: Aportes ao Conselho de Coordenação da Formação do Patriarcado de Lisboa. (Adaptado da carta resposta) 11 de jan. 2008.

El Pan de Vida

“Concédenos, Dios todopoderoso,
“que de tal manera saciemos
“nuestra hambre y nuestra sed en estos sacramentos,
“que nos transformemos en lo que hemos recibido.
Por Jesucristo, nuestro Señor”.

En esta oración post-comunión de la XXVII semana del tiempo ordinario, está dicho con precisión teológica y sencillez de expresión, la meta del misterio Eucarístico.
Transformarnos en Cristo: he ahí el objetivo de la Eucaristía.
En el capítulo VI de su Evangelio, San Juan nos relata el sermón Eucarístico de Jesús, cuando Él se revela como pan vivo bajado del cielo para ser comido y garantizar así la resurrección y la vida eterna. Ese anuncio chocó profundamente a muchos discípulos que a partir de ese momento le dejaron definitivamente ¿¡Cómo puede ser eso de comer el cuerpo y beber la sangre del Maestro!? Otros, como los apóstoles, fueron confirmados en su vocación.
En esta declaración y en su posterior concretización durante la última Cena y el Calvario (que son un mismo misterio), está expresado todo el amor infinito y la intención salvífica de Jesús.
Es que la comida de este pan, es muy distinta de cualquier otro pan o alimento humano. O inclusive del propio maná prodigioso del desierto.
Analicemos. El hombre viviente mata primero lo que ha de comer e incorpora después a su vida humana la materia inerte que ingirió. Mata animales, cuece al fuego la comida, deglute plantas o frutas y todo eso, perdiendo su forma original, es ingerido e incorporado al organismo racional de quien los comió. Si los manjares tuvieran conciencia, se enorgullecerían, pues el hombre humaniza y espiritualiza la materia que lo sustenta.
En la comunión del Pan de Vida es al revés. Ese pan no es materia inerte sino viva. Es el Verbo de Dios hecho hombre que se hace alimento para ser comido. Y cuando lo comemos, no lo transformamos en vida humana, como a los demás alimentos que ingerimos, sino que nos Él transforma a nosotros en divinos. Él no se hace uno con nosotros sino que nos hace uno con Él, asimilándonos y convirtiéndonos en miembros de su cuerpo que es la Iglesia.
Recordemos que al comulgar, no recibimos a Jesús muerto sino a Jesús resucitado, vivo. Si fuese el cuerpo difunto del Salvador, le estaríamos dando vida en nuestro recuerdo, en nuestro amor o en nuestro organismo. Cuando recordamos a nuestros seres queridos en el aniversario de su muerte, por ejemplo, de alguna manera les damos vida en nuestro corazón.
Con Jesús no es así. Él está vivo y nos transforma comunicándonos su vida superior.
¡Qué prodigio de bondad es la Eucaristía que de esta forma nos diviniza! ¡Y qué locura dejar de celebrar, dejar de comulgar, para saciarnos de cosas terrenales corruptibles y hasta nocivas!
La comunión es alimento, es remedio, es misterio transformador y creador.

Homilía Card. Cláudio Hummes para los nuevos obispos del mundo

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ALGUNOS PÁRRAFOS DE LA HOMILÍA DEL CARDENAL

CLÁUDIO HUMMES, EL 21.IX.2009, EN LA REUNIÓN

DE LOS NUEVOS OBISPOS DE TODO EL MUNDO REUNIDOS EN ROMA

Queridos hermanos Obispos:

Estamos celebrando el Año Sacerdotal. También los Presbíteros, como ministros ordenados y principales colaboradores de su respectivo Obispo, están sacramentalmente unidos a la misión apostólica. Este año especial ha sido convocado por el Santo Padre a favor de los Presbíteros a motivo de que ellos non son sustituibles y de su importancia en la Iglesia. Como tales, hoy tienen una particular necesidad de ser sostenidos y de llegar a una renovación espiritual y pastoral. Es por eso que fraternalmente quisiera proponeros el estar muy cercanos a vuestros Presbíteros, rezar por ellos y con ellos. El Santo Padre desea, con gran intensidad de corazón, que este Año Sacerdotal sea bien recibido y bien realizado por parte de los Obispos en sus diócesis. Nuestros Presbíteros sienten la necesidad de sentirse amados y sostenidos en su vocación y misión, sobre todo por parte de su Obispo y de su comunidad. Quieren ser reconocidos por aquello que son y por lo que hacen. También tienen necesidad de ser ayudados y orientados con el fin de poder renovar en sus corazones la verdadera identidad del sacerdocio y el verdadero sentido del celibato. En este contexto será decisivo renovar y fortalecer su espiritualidad presbiteral, que encuentra su fundamento en el ser verdaderos e incondicionales discípulos de Jesucristo, quien les ha configurado a El, Cabeza y Pastor de la Iglesia. A favor de este modo de ser discípulos, en tal modo determinante en su vida, sirve tantísimo a los Presbíteros la escucha y la lectura orante de la Palabra de Dios, la celebración diaria de la Santa Misa, la recepción frecuente del Sacramento de la Confesión, el rezo de la Liturgia de las Horas, la visita frecuente al Santísimo Sacramento, la plegaria del Rosario y otros medios para enriquecerse espiritualmente y de encuentro e intimidad personal con Jesucristo. También son muy importantes los Ejercicios Espirituales y la formación permanente.

Además hay que suscitar la conciencia misionaria de los Presbíteros. La Iglesia sabe que existe una urgencia misionaria en todo el mundo, pero non sólo ad gentes, sino también al interno del mismo rebaño de la Iglesia, ya establecida desde siglos en los países del mundo cristiano. Hay que promover en nuestras diócesis y en nuestras parroquias un verdadero afán misionario. Todos nuestros países son ahora tierra de misión en sentido estricto de la palabra. Es necesario encender en nuestros presbíteros y en nosotros mismos un nuevo fuego, una nueva pasión para alzarse e ir al encuentro de las personas, allí donde viven y trabajan, para llevarles de nuevo el Kerigma, el primer anuncio de la persona de Jesucristo, muerto y resucitado y de su Reino, conduciéndoles a un encuentro personal primero y después comunitario con el Señor. Benedicto XVI, nuestro amado Papa, refiriéndose a la situación de nuestros países de secular tradición cristiana ha dicho: “Debemos reflexionar seriamente sobre el modo en el que hoy podamos realizar una verdadera evangelización, no sólo una nueva evangelización sino muchas veces una verdadera y propriamente primera evangelización. […] No es suficiente el que nosotros busquemos el modo de conservar la grey ya existente” (discurso a los Obispos alemanes, 21.VIII.2005) sino que tenemos necesidad de una verdadera misión. No basta acoger a las personas que nos vienen a las parroquias o a las rectorías. Es necesario urgentemente levantarse y andar a la búsqueda, ante todo, de tantísimos bautizados, que se han alejado de la participación a la vida de nuestras comunidades y, después, hacia todos aquellos que poco o nada conocen a Jesucristo. La misión ha renovado siempre a la Iglesia. Lo mismo acontece a los Presbíteros cuando van a la misión. He aquí todo un programa a desarrollar en este Año Sacerdotal.

Cardenal Cláudio Hummes

Arzobispo Emérito de San Pablo

Prefecto de la Congregación para el Clero

Intellige ut credas, crede ut intelligas

lumen-veritatis-ant“O Espírito abre à inteligência humana novos horizontes que a ultrapassam, e lhe faz compreender que a única sabedoria verdadeira reside na grandeza de Cristo”. 1

A inteligência é a faculdade pela qual o homem percebe a essência das coisas. Ela é espiritual ao atingir o imaterial, embora dependente das faculdades sensitivas que lhe fornecem os elementos a percepcionar. Consequentemente, aos homens foi dada a possibilidade de chegar ao conhecimento do Criador pelas criaturas (cf. Sb 13, 5) e, graças à inteligência, todos têm a possibilidade de “se saciar nas águas profundas” do conhecimento (cf. Pr 20, 5). Assim, ao deduzir as consequências dos princípios, entra-se num novo campo, que é o da Razão.

É sobejamente conhecida a expressão de Santo Agostinho: “intellige ut credas, crede ut intelligas”.2 Perscruta-se a verdade para poder encontrar Deus e crer, ao mesmo tempo que o crer abre o caminho para passar pela porta da verdade. A inteligência não deve eliminar, mas, esclarecer a fé, para que em restituição a inteligência seja também a recompensa do que crê. As duas fórmulas expressam a síntese coerente entre fides et ratio, cuja harmonia “significa sobretudo que Deus não está longe”.3

São Felipe Neri fez várias considerações acerca da inteligência como um dom de Deus que deve ser reconhecida como limitada. A nós cabe procurá-Lo parando, porém, diante do mistério. Deus, sendo infinito, supera toda perspectiva humana. Deve haver por isso um abandono confiante no Seu projeto.4 De fato, depreende-se que o amor de Deus faça “multiplicar os recursos da inteligência e da vontade do homem, de sorte que eles se tornam aptos a compreender as coisas com uma clareza e com uma energia por vezes superiores a seus recursos naturais, desde que entrem em jogo os sagrados direitos da Santa Igreja”.5

Embora possamos conhecer a Deus pela razão, deve-se à Sua Revelação o conhecimento sem erro. São as Sagradas Escrituras que contêm a palavra de Deus e por isso, o estudo destes sagrados livros deve ser como que a alma da sagrada teologia.6 “Porém, o encargo de interpretar autenticamente a palavra de Deus escrita ou contida na Tradição foi confiado só ao magistério vivo da Igreja, cuja autoridade é exercida em nome de Jesus Cristo”.7 Ou seja, cabe ao Santo Padre e aos bispos em comunhão com ele, “o religioso obséquio de inteligência e de vontade de todos os fiéis”.8 Os outros clérigos, de acordo com o Codex Iuris Canonici, “sigam a sólida doutrina fundada nas Sagradas Escrituras, transmitida pelos antepassados e comumente aceita pela Igreja, conforme está fixada principalmente nos documentos dos Concílios e dos Romanos Pontífices, evitando profanas novidades de palavras e falsa ciência”.9

VICTORINO DE ANDRADE, José. Editorial. in: LUMEN VERITATIS, n. 4, jul-set, 2008, p. 3-4.

1) BENTO XVI. Vigília de oração com os jovens. Basílica de Notre-Dame, Paris. 12 set. 2008.

2) Sermones, 43, 9.

3) BENTO XVI. Audiência Geral. 30 jan. 2008.

4) Cf. JOÃO PAULO II. Homilia. Roma, 26 mai. 1979.

5) CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Legionário, n.º 434, 5 jan. 1941.

6) Cf. Epist. ad Diognetum, c. VII, 4: Funk, Patres Apostolici, I, p. 403.

7) Dei Verbum 10.

8) Codex Iuris Canonici, cân. 752.

9) Idem, cân. 279, § 1.

“teología sentada”

Entre estudio y estudio para mi maestría en teología asistí una conferencia muy curiosa. Cierto teólogo de determinada corriente del pasado, cómodamente sentado delante de un auditorio curioso por conocer su figura, discurría sobre varios temas científicos ajenos totalmente con la teología. Hasta criticaba ásperamente a Benedicto XVI por no haberle apoyado a lo largo de su “carrera”, considerando al Papa como “un compañero” y nada más. Lamentablemente en los días actuales no es nada extraño ver un teólogo criticando al Papa. Pero analizando al personaje pensé que quién no supiese que era un teólogo jamás podría adivinarlo. Sin hablar de la presentación personal,  Dios, la Redención,  el pecado, la Gracia… eran temas que él ignoraba o al menos es la impresión que causaba. Confieso que salí muy decepcionado, pues si había algo que ese teólogo no era capaz de comunicar era el gusto por las cosas eternas, la santidad.

Curiosamente, hoy encuentro un comentario de Von Balthasar muy apropiado y que debe ser motivo de reflexión para todos los que nos dedicamos a la Teología:

“En tanto fue una teología de santos, la teología fue una teología orante, arrodillada: por ello fueron tan inmensos su provecho para la oración, su fecundidad para la oración, su poder engendrador de oración.

Hubo algún momento en que se pasó de la teología arrodillada a la teología sentada. Con ello se introdujo en la teología la división que al comienzo de este trabajo describimos. La teología “científica” se vuelve extraña a la oración y, por consiguiente, desconoce el tono con el que se debe hablar sobre lo santo.”

Hans Urs Von Balthasar, Verbum Caro, p. 222

A Igreja e o verdadeiro progresso

          image1954_043_1A sacralização do mundo envolve que a esfera espiritual anime de tal forma as realidades temporais, que as impregne do espírito da Igreja, isto é, as imbua do Preciosíssimo Sangue Redentor. De fato, a morte de Jesus na cruz teve profundas consequências, não só nas almas, mas também em toda a ordem do Universo, conforme o atesta João Paulo II em sua primeira encíclica:

 

Em Jesus Cristo, o mundo visível, criado por Deus para o homem aquele mundo que, entrando nele o pecado, foi submetido à caducidade readquire novamente o vínculo originário com a mesma fonte divina da Sapiência e do Amor.[1]

 

            Porém, de acordo com o mesmo documento, o mundo ficou sujeito a certa caducidade com o decorrer dos séculos, comprovada por uma autodestruição e desrespeito pelo meio ambiente e pelo próprio homem. Esta nova época em que nos encontramos, de vôos cósmicos, conquistas científicas e técnicas nunca alcançadas antes, parece gemer e sofrer.[2]

            Esta denuncia feita na Redemptor Hominis, poderia levar a uma superficial consideração de que a Igreja é contra o progresso, tal seria, pois, enquanto tal e na verdadeira acepção da palavra, é uma coisa boa. A este respeito, escreveu Paulo VI em seu último livro, ainda enquanto Cardeal Montini, em 1963:

 

A cristandade não é um obstáculo ao progresso moderno porque não o considera apenas nos seus aspetos técnicos e econômicos, mas no total de seu desenvolvimento. Os bens temporais poderão certamente ajudar o completo desenvolvimento do homem, mas eles não constituem o ideal da perfeição humana ou a essência do progresso social.[3]

 

            O problema com o aparente progresso, este sim, criticado pela Igreja, está no fato de ter vindo acompanhado de uma filosofia de vida que parecia dispensar Deus e confiar na mera técnica, ou no próprio homem, tal como advertiu o então cardeal Ratzinger:

 

Não é a expansão em si das possibilidades técnicas que é má, mas a arrogância iluminista que, em muitos casos, esmagou estruturas desenvolvidas e calcou as almas de homens cujas tradições religiosas e éticas foram postas de parte de forma displicente. O desenraizamento das almas e a destruição de estruturas comunitárias que então ocorreram, são certamente o principal motivo pelo qual a ajuda ao desenvolvimento apenas muito raramente tenha conduzido a resultados positivos.[4]

 

            Thomas S. Kuhn, chegou mesmo a colocar o dedo na ferida e a levantar o problema para onde caminhava a ciência em meados do séc. XX, pois, seu processo parecia partir de estágios primitivos e aparentava não levar a pesquisa para mais perto da verdade ou em direção a algo, o que significava que um número inquietante de problemas poderiam advir.[5] Kierkegaard alertava que, tornando-se a ciência um modo de vida, então esse seria o modo mais terrível de viver: “encantar todo o mundo e se extasiar com as descobertas e a genialidade, sem, no entanto, [o homem] conseguir compreender-se a si mesmo”.[6] De fato, a mentalidade que decorreu de um inebriamento científico causado por um progresso que parecia não ter limites, afastando o homem da Verdade para se tornar ele próprio o absoluto, desligou-o do âmbito sobrenatural, negligenciando pontes de diálogo e levou-o a procurar o terreno em detrimento do espiritual, a valorizar o corpo e a negligenciar a alma, o que contribuiu para uma profunda secularização na sociedade atual.

            A realidade à qual chegamos, exige cada vez mais que os fiéis membros da Igreja se tornem, com fidelidade e filialidade, testemunhos e sinais da presença cristã em todos os campos da sociedade humana.

 

Poderá citar este artigo desde que não negligencie a fonte:

VICTORINO DE ANDRADE, José. A Igreja e o Verdadeiro Progresso: Sacralização e Pleno Desenvolvimento no mundo contemporâneo. 17 f. Trabalho (Mestrado em Teologia Moral) – UPB, 2009. p. 2-3.


[1]JOÃO PAULO II. Redemptor Hominis, n. 8.

[2] Idem.

[3] MONTINI, Giovanni Battista. The Christian in the Material World. Baltimore: Helicon, 1964. (tradução minha).

[4] RATZINGER, Joseph. Fé, Verdade, Tolerância. Traduções UCEDITORA: Lisboa, 2007. P. 71

[5] Cf. REALE, Giovanni. História da Filosofia: Do romanismo até nossos dias. V. 3. São Paulo: Paulus, 1991. p. 1046.

[6] Idem, p. 250.