Pe. Eduardo Caballero, EP[1]
Il concilio Vaticano II era preoccupato per il tema della storicità dei Vangeli. C’era una discussione su questo argomento prima del concilio. Paolo VI chiese alla Pontificia Commissione Biblica di fare un documento in merito, che poi servì come base per la redazione del paragrafo 19 della Dei Verbum. Questo testo sottolinea il carattere storico dei Vangeli. Ma solo una volta appare la parola storicità nel documento, dovuto alla polemica esistente all’epoca. Cosa vuol dire esattamente il termine storicità? In un senso colloquiale, storicità è un concetto identico a verità. Ma c’è una differenza fra evento e storia. Cosa vuol dire che un fatto è storico? Il reale è più ampio della storia. Ci sono tante cose reali che la storia non registra: ad esempio i pensieri. Storico vuol dire costatabile positivisticamente?
DV 19 spiega il concetto di storicità in base a tre punti:
• «I quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo».[2]
• «Gli apostoli poi, dopo l’Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza delle cose – ecco la novità! – di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità, godevano».[3] Cioè, la plenior intelligentia arriva dopo, con la Pasqua.
• «Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o già per iscritto, redigendo un riassunto di altre, o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere […] Essi infatti […] scrissero con l’intenzione di farci conoscere la “verità” (cfr. Lc 1,2-4) degli insegnamenti che abbiamo ricevuto».[4] Gli evangelisti hanno fatto un’adattamento con scopo kêrygmatico, non un libro di testo ma un libro da essere proclamato.
È, quindi, importantissimo il testo di DV 19 perché esso spiega la valenza storica del Vangelo. Ma spiega anche in quale modo deve essere interpretata quella storicità. Più che leggere il Vangelo – si deve leggere pure – bisogna ascoltarlo, perché non è semplicemente un libro storico. Nei Vangeli non si trova un resoconto sulla vita di Gesù, ma quello che è la verità per la nostra salvezza.
Si arriverà così non tanto alla ipssima vox Iesu e ai vera facta Iesu ma ad individuare la ipsissima intentio Iesu! È anche molto importante in questo senso il testo di DV 11:
«Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa. Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte. Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture. Pertanto “ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona” (2Tm 3, 16-17)».[5]Il concilio Vaticano I parlava di ispirazione in senso negativo: l’ispirazione vuol dire che non ci sono errori. Il concilio Vaticano II invece è il primo concilio che parla di ispirazione in senso positivo: non si tratta soltanto di una parola su Dio ma della parola di Dio. La tradizione cattolica non è, dunque, fondamentalista, non è letteralista nell’interpretazione della Scrittura. Il rischio di relativismo che questo comporta viene controbilanciato dalla custodia che la Chiesa fa della interpretazione autentica della Scrittura.
CABALLERO, Eduardo. La credibilità della rivelazione cristiana: Elaborato sulla Tesi nº 6 – L’accesso alla “Memoria Iesu” (Rev. D. Salvador Pié-Ninot). Roma: Pontificia Università Gregoriana, 2008.
[1] Per la confezione di questo elaborato è stato usato come testo di base il libro: S. PIÉ-NINOT, La teologia fondamentale, Brescia 2007.
[2] Dei Verbum 19.
[3] Ibid.
[4] Ibid.
[5] Ibid. 11