A sacralidade do sacerdote

sacerMons. João Clá Dias, EP

Um elemento conexo ao bom exemplo é a proporcionada respeitabilidade da qual deve cercar-se o ministro de Deus — não só pelo comportamento inatacável, mas também pela postura, pelo modo de ser e pelo traje — para que sua atuação exerça mais influência na alma dos fiéis.

Com efeito, mesmo em nossos dias, a experiência cotidiana nos revela como é impressionante a admiração devotada ao religioso ou sacerdote que se apresenta como tal. Essa respeitabilidade, que a uns pode parecer artificialidade, acaba sendo um valioso auxílio para o próprio ministro, pois contribui para ele ter sempre presente em seu espírito a alta dignidade de que foi investido, a qual imprimiu caráter em sua alma, por toda a eternidade. Além de ser, ao mesmo tempo, uma salutar proteção contra incontáveis seduções do mundo.

Não obstante serem necessárias essas atitudes externas, assim como os cuidados razoáveis para preservar a imagem venerável do sacerdote aos olhos dos fiéis, nada contribui tanto para tal como a autêntica santidade de vida. Santidade cuja fonte o sacerdote encontra principalmente na Celebração Eucarística.

CLÁ DIAS, João. A Santidade do sacerdote à luz de São Tomás de Aquino. in: LUMEN VERITATIS. São Paulo: Associação Colégio Arautos do Evangelho. n. 8, jul-set 2009. p. 15-16.

Il “Simone della storia” e il “Pietro della fede”

pedroPe. Eduardo Caballero, EP

 

            Gli studi attuali vedono due tappe nell’immagine neotestamentaria di Simon Pietro e del suo ministero: il “Simone della Storia” e il “Pietro della Fede”.[1]

            Durante la prima tappa (il “Simone della Storia”), che si svolge durante il ministero di Gesù, l’immagine di Simon Pietro appare con quattro grandi tratti caratteristici. Simone è stato uno dei primi discepoli di Gesù ad essere chiamato, o sulla riva del Mar di Galilea insieme ad Andrea, Giacomo e Giovanni, secondo la tradizione sinottica, o nella valle del Giordano dopo Andrea e un altro discepolo, secondo la tradizione giovannea. Ha avuto anche un ruolo preminente tra i primi discepoli di Gesù, essendo frequentemente associato a Giovanni e Giacomo secondo i Sinottici, e/o al discepolo prediletto nella letteratura giovannea. In più, con tutta probabilità, fece una certa confessione messianica di Gesù, nel senso di “tu sei il Messia” nella linea di quella contenuta sostanzialmente in Mc 8,29 (= Mt 16,16 = Lc 9,20, e il suo riflesso in Gv 6,68s.), la cui autenticità è confermata dal fatto di non essere stata accettata da Gesù. Infine, è anche molto probabile che Simone non abbia capito Gesù, almeno in parte. L’invettiva di Gesù chiamandolo Satana; le sue negazioni attestano questo incompleto intendimento di Gesù da parte de Simone.

            Nella seconda tappa della sua vita (il “Pietro della Fede”), che fa parte della storia della Chiesa Primitiva, si possono individuare anche altre quattro caratteristiche salienti. Simone finì per essere conosciuto come Cefa, proba bilmente perché lo stesso Gesù gli aveva dato questo nome secondo la narrazione trasmessa in tre contesti diversi.[2] Gli fu concessa, tra i Dodici, la prima apparizioni di Gesù risorto,[3] fatto in seguito al quale Pietro fui il più importante dei Dodici in Gerusalemme e dintorni.[4] Pietro, poi, svolse un’attività missionaria soprattutto tra i giudei, ma anche tra i gentili.[5] Infine, la sua posizione teologica fu intermedia tra quella di Giacomo e quella di Paolo.[6]    Ci sono, inoltre, sei immagini di Pietro nel pensiero neotestamentario. Oltre che primo testimone di Gesù risorto, di portavoce dei Dodici e di missionario, si sviluppa l’immagine di grande pescatore-missionario (Lc 5) che deve confermare i suoi fratelli con la sua continua predicazione missionaria.[7] Emerge, inoltre, l’immagine del pastore,[8] che esercita l’autorità pastorale in virtù delle chiavi del regno e del legare e sciogliere che Gesù gli ha affidato (Mt 16,19). Poiché è buon pastore, dà la vita per le sue pecore (Gv 10,11; 13,36), e diventa martire cristiano a Roma verso gli anni 60 come “testimone delle sofferenze di Cristo” (1Pt 5,1). Ha una speciale rilevanza l’immagine di Pietro come ricettore di rivelazione propria, sia della risurrezione (1Cor 15,5), sia della scena che la annuncia: la trasfigurazione (Mc 9,2-10), una visione che viene usata per giustificare la sua autorità petrina successiva (2Pt 1, 16-18). Si narrano ugualmente altre tre rivelazioni riservate a lui: la prima, quando viene scoperto l’inganno di Anania e Zaffira, (At 5,1-11); la seconda, che giustifica il battesimo del romano pagano Cornelio (At 10,9-16) e la terza, per essere liberato dalla prigione (At 12,7-9). Prevalentemente, Pietro si manifesta come confessore della vera fede cristiana nel testo di Mt 16,16-19 (e della sua scena vicina di Gv 6,66-69), dove prende corpo in modo germinale una rivelazione di Dio sulla identità di Gesù: è il Messia e il Figlio del Dio vivo. Alla luce degli eventi post-pastquali si rende patente per la comunità cristiana che Pietro è realmente la roccia sulla quale Gesù ha fondato la sua Chiesa, contro la quale non prevarranno le porte dell’Inferno. E nella 2Pt, Pietro appare come il custode della fede contro il falso insegnamento nella interpretazione sia delle Scritture (1,20s.) sia degli altri apostoli (3.15s). Infine, tutta questa visione non impedisce che Pietro sia visto anche come debole e peccatore. Infatti, non capisce le parole e le intenzioni di Gesù,[9] viene rimproverato da Gesù, e addirittura chiamato “Satana”,[10] ed anche criticato da Paolo (Gal 2,11ss.). Rinnega Gesù (Lc 14,66-72) ma si pente e viene riabilitato, come fa capire l’apparizione di Gesù risorto (Gv 21,15-17). Anche l’uomo di poca fede è salvato da Gesù mentre affonda (Mt 14,28-31); il pescatore indegno e peccatore riceve da Gesù poteri spirituali (Gv 5,8-10) e una volta ravveduto, diventa sorgente di forza credente per i suoi fratelli (Lc 22,32).  

CABALLERO, Eduardo. Radicamento biblico del Ministero Petrino. Pontificia Università Gregoriana. Roma, 7 maggio 2009. p. 5-7.

[1] Cf S. PIÉ-NINOT, Eclesiologia. La sacramentalità della comunità cristiana, Brescia

2008, 457s.

[2] Cf Mc 3,16; Mt 16,18; Gv 1,42.

[3] Cf 1Cor 15,5; Lc 24,34; e Mc 16,7.

[4] Cf Gal 1,18; At 3,1s.; 4,1s.; 8,14.

[5] Cf At 10; 1Cor 1,12; 1Pt 1,1.

[6] “Tutti d’accordo”: At 15,25; differenze con Giacomo: Gal 2,12; differenze con Paolo:

Gal 2,11, e la testimonianza globale di 2Pt.

[7] Cf Lc 22,32: “conferma i tuoi fratelli”.

[8] Cf Gv 21; 1Pt 5.

[9] Cf Mc 9,5s.; Gv 13,6-11; 18,10s.

[10] Cf Mc 8,33; Mt 16,23.


Cristo ha revelado el hombre a todo hombre

 

cristoPe. José Francisco Hernández Medina, EP

El siervo de Dios Juan Pablo II, en su Carta Apostólica Novo Millenio ineunte,  explica el trecho que acabamos de transcribir con gran precisión:

 

Dios y hombre como es, Cristo nos revela también el auténtico rostro del hombre, «manifiesta plenamente el hombre al propio hombre ». (Gaudium et Spes n. 22)

Jesús es el «hombre nuevo» (cf. Ef 4,24; Col 3,10) que llama a participar de su vida divina a la humanidad redimida. En el misterio de la Encarnación están las bases para una antropología que es capaz de ir más allá de sus propios límites y contradicciones, moviéndose hacia Dios mismo, más aún, hacia la meta de la «divinización», a través de la incorporación a Cristo del hombre redimido, admitido a la intimidad de la vida trinitaria. Sobre esta dimensión salvífica del misterio de la Encarnación los Padres han insistido mucho: sólo porque el Hijo de Dios se hizo verdaderamente hombre, el hombre puede, en él y por medio de él, llegar a ser realmente hijo de Dios[1]. 

       La afirmación de Juan Pablo II, nos llama mucho la atención por su claridad. El Hijo de Dios se ha hecho hombre no sólo para hacerse Emmanuel (Dios-con-nosotros) sino para explicarnos a nosotros mismos lo que significa ser hombre, y el camino recto y seguro para, por Él, con Él y en Él llegar a ser hijo de Dios por la Gracia; que sobreeleva al hombre de su naturaleza hasta a iluminarlo por la participación en la vida divina.

       Este aspecto había como que quedado relegado, olvidado, entre el luctus et angor de un siglo que había conocido dos Guerras Mundiales con trágicos episodios de sangre y violencia, desaparición de naciones y de imperios, y el predominio, en los ambientes de pensamiento y literatura, de ideologías relativistas, a las que “le daba igual” si Dios existía o si no existía,  y que habían “montado su vida” et si Deus non daretur.

Y por ello el n. 22 abre una luz de esperanza para el hombre del siglo XXI:

El hombre: no está solo en esta tierra, no está abandonado a su  suerte, ¡Dios se ha hecho Hombre para estar junto a él.

Trabajó con manos de hombre, pensó con inteligencia de hombre, obró con voluntad de hombre, amó con corazón de hombre. Nacido de la Virgen María, se hizo verdaderamente uno de los nuestros, semejantes en todo a nosotros, excepto en el pecado[2].

Y más adelante:

y, además abrió el camino, con cuyo seguimiento la vida y la muerte se santifican y adquieren nuevo sentido[3].

Era (¡y lo es hoy más aún!) uno de los grandes interrogantes del hombre contemporáneo, “el sentido de la vida”,  el “Lebenssinnn” ante el cual quedaba perpleja cierta filosofía del mundo. Este sentido no era un laberinto inextricable, sino que estaba plenamente iluminado por la Encarnación, la Redención y la Pascua.

Pero el n. 22  de la Gaudium et Spes va más lejos aún. Muestra además, que  justamente todo lo anterior es un preludio. Dios ha hecho esto para, sobre todo ¡elevar al hombre a Su propia vida por la Gracia!

De una manera que, sin nada confundirse con panteísmo alguno, pero por misterio de la voluntad de Dios, la gracia (esa participación creada en la vida increada de Dios) diviniza al hombre.

Por lo tanto, no tienen ninguna base los temores que, facilitados por la rapidez de las comunicaciones de la “aldea global”,  parecen amenazar por todas partes al hombre actual.

La Gaudium et Spes se muestra desde el comienzo como dirigida a esclarecer a ese hombre rodeado de preguntas que parecen no tener respuesta.

El n. 10,  nos describe las limitaciones, las solicitaciones, las divisiones y discordias a los que algunos hombres contemporáneos «tarados en su vida por el materialismo práctico» ignoran la percepción clara del estado dramático de este estado de cosas o no tienen tiempo para considerarlo. Ante esta y otras situaciones, este apartado del 22 de la GS nos hace esta múltiple pregunta: cual es el sentido del hombre en medio de estas situaciones y como el  hombre no está solo en las simples perplejidades cotidianas, Dios lo acompaña de una altísima  y misteriosa forma, le enseña a dar a las cosas un sentido exacto y una significación propia.

El entonces Cardenal Ratzinger, cuando Prefecto de la Congregación para la Doctrina de la Fe,  en una entrevista de prensa del año 2003, alertaba sobre esa sensación que tiene el hombre contemporáneo, de estar solo, de pensar en Cristo como en una figura histórica lejana, distante de él, perdido en el pasado, y no percibirlo como vivo, y cercano a cada uno[4].

Volviendo a la Gaudium et Spes en su número 10, continúa:

Bajo la luz de Cristo, imagen de Dios invisible, primogénito de toda la creación, el Concilio habla a todos para esclarecer el misterio del hombre y para cooperar en el hallazgo de soluciones que respondan a los principales problemas de nuestra época[5]

 

HERNÁNDEZ MEDINA, José Francisco. Reflexiones sobre el n. 22 de la Gaudium et Spes. Pontificia Università Gregoriana. Roma, 24 di gennaio 2008.



[1] Juan Pablo II. Carta Apostólica Novo Millenio Ineunte, 6-1-2001  n. 23. Cita el Pontífice, a pie de página: A este respecto observa san Atanasio: « El hombre no podía ser divinizado permaneciendo unido a una criatura, si el Hijo no fuese verdaderamente Dios », Discurso II contra los Arrianos 70: PG 26, 425 B

[2] GS, n. 22

[3] Ibíd..

[4] Apud entrevista a Zenit, ZS03121611 y ZS03121711, in http://www.senioretamar.com/ARCHIVOS/CAPELLAN%CDA/JRatzinger_infinito.pdf

[5] GS, n. 10